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Borsellino, l’accusa del Procuratore di Caltanissetta: Il più grande depistaggio d’Italia, tutti sapevano

Sono qui oggi quasi come testimone – ha detto il Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca nella requisitoria del processo a tre poliziotti accusati di aver depistato le indagini sulla strage di via D’amelio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina – perché l’eccellente lavoro fatto dal collega Luciani non ha bisogno di alcuna integrazione. Sono qui per testimoniare, ed è quasi superfluo, che le conclusioni che saranno oggi formulate non rappresentano il convincimento isolato di un pubblico ministero ma che tutta la Procura di Caltanissetta le condivide. Non si tratta di una frattura rispetto al passato bensì di una lenta e costante evoluzione che ci porta oggi a contestare la sussistenza dell’aggravante di mafia. I plurimi, gravi, elementi depongono tutti nel senso che il depistaggio ha voluto coprire delle alleanze strategiche di Cosa Nostra, che in quel momento riteneva di vitale importanza“

Sono qui oggi quasi come testimone – ha detto il Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca nella requisitoria del processo a tre poliziotti accusati di aver depistato le indagini sulla strage di via d’Amelio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina – perché l’eccellente lavoro fatto dal collega Luciani non ha bisogno di alcuna integrazione. Sono qui per testimoniare, ed è quasi superfluo, che le conclusioni che saranno oggi formulate non rappresentano il convincimento isolato di un pubblico ministero ma che tutta la Procura di Caltanissetta le condivide. Non si tratta di una frattura rispetto al passato bensì di una lenta e costante evoluzione che ci porta oggi a contestare la sussistenza dell’aggravante di mafia. I plurimi, gravi, elementi depongono tutti nel senso che il depistaggio ha voluto coprire delle alleanze strategiche di Cosa Nostra, che in quel momento riteneva di vitale importanza“.

Gli imputati in udienza sono tre poliziotti: Mario Bo (che è assente), Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Sono tutti accusati di calunnia aggravata in concorso, perché secondo la Procura nissena avrebbero tentato di indurre l’ex pentito Vincenzo Scarantino a dire il falso. I tre ex appartenenti al gruppo “Falcone-Borsellino” sono accusati di aver indotto, mediante minacce e pressioni, il falso pentito Vincenzo Scarantino a dichiarare il falso per depistare le indagini sulla strage di via D’Amelio. Per l’accusa i poliziotti sapevano che Scarantino stava accusando degli innocenti.

“Tutti sapevano – ha detto ancora il Procuratore capo Salvatore De Luca – che Vincenzo Scarantino alla Guadagna era un personaggio delinquenziale di serie C. Parlare di questo gigantesco, inaudito, depistaggio solo per motivi di carriera del dottore La Barbera è la giustificazione aggiornata e rimodulata classica di Cosa Nostra. Non mi dilungo ulteriormente perché il collega Luciani avrà ancora molto da dire e poi mi riservo di fare le conclusioni”.

A prendere la parola per l’Accusa all’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta c’è il Pubblico Ministero Stefano Luciani, che da qualche tempo è Pm alla Procura di Roma ed è stato distaccato a Caltanissetta per seguire le ultime fasi del processo sul depistaggio. Il Magistrato ha ribadito la “falsa condotta” di Scarantino che partirebbe proprio nell’estate del 1995.

“Qual è il pezzo che manca nella vicenda Scarantino? – ha detto il Pm Stefano Luciani – si svolge alla fine di luglio del 1995 e che dà luogo a quella che abbiamo definito la ritrattazione televisiva di Scarantino. È il primo momento in cui Scarantino rende noto che stava falsamente collaborando con la giustizia”.

“Muoveremo dalle dichiarazioni di colei che era testimone, l’allora moglie di Scarantino: Rosalia Basile – spiega il Pm Luciani – La Basile su tutte le vicende che rappresentiamo è di una costanza e precisione incontestabile”.

E continua “La mattina del 25 luglio del ’95 la Basile dice, rendendo dichiarazioni in vari processi, che giunge in casa a San Bartolomeo al Mare”, la località segreta in cui viveva Scarantino dopo la collaborazione, “Giuseppe Di Gangi”, un poliziotto “che aveva una notifica in cui era rapportato che Scotto non era a Palermo quando successe il fatto (la strage di via D’Amelio ndr) ma a Bologna. Di Gangi si presenta a casa di Scarantino”.

E poi il Magistrato aggiunge “La caratteristica di questo processo è che tutti i signori che si sono seduti qui a rendere dichiarazioni”, riferendosi ai poliziotti del Gruppo Falcone e Borsellino “sono stati compatti a difendersi l’un l’altro, ma nelle deposizioni dal senso sfuggito abbiamo ritratto elementi che ci confermano quanto accaduto in quelle fasi”. Così racconta quanto detto ancora dall’ex moglie di Scarantino che il funzionario del Gruppo Falcone e Borsellino, Mario Bo, lo avrebbe costretto ad andare in macchina “Cosa ci andò a fare Giuseppe Di Gangi da Scarantino? A che titolo un poliziotto parte comandato dall’ufficio di Palermo da un collaboratore di giustizia con un articolo di giornale? Che attività è? È o non è la prova provata di quello che sosteniamo? Cosa ci andavano a fare questi signori a San Bartolomeo al Mare? Ad alzare un cordone di protezione, ad aggiustare le dichiarazioni di Scarantino, man mano che si presentavano le difficoltà. Parliamo di questo”. E ribadisce che il poliziotto non ha fatto “la relazione di servizio perché non gli è stato chiesto di farla”. “Che c’è qualcosa che non funziona lo abbiamo capito tutti qui dentro…”.

“Vincenzo Scarantino disse ai poliziotti più volte che non c’entrava niente e che non sapeva niente della strage di via D’Amelio. Che era innocente. Ecco perché impazzisce” dice ancora il pm Stefano Luciani proseguendo la requisitoria nel processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio.

“Le dichiarazioni della ex moglie di Scarantino, Rosalia Basile sono assolutamente coincidenti e confermate, passo passo, dallo stesso Scarantino – spiega il Pm Luciani in aula – Che dice Scarantino? Che il poliziotto Giuseppe Di Gangi gli portò un articolo di giornale in cui si diceva che Scotto il giorno della strage di via D’Amelio era a Bologna. “Io gli dissi e a me che me ne frega? – continua il Pm Luciani riportando le parole di Scarantino – io non lo conosco questo Scotto. Se era a Bologna o alla Guadagna (un quartiere di Palermo ndr), non me ne frega niente. Perché poi sono andato fuori di testa? Non è che impazzisco all’improvviso, la cosa che mi ha dato fastidio è come scaricarmi la responsabilità a me che a Scotto lo avete messo voi’. Scarantino cosa dice al poliziotto Di Gangi? Gli dice ‘Io qui non c’entro niente, me lo avete fatto dire voi’. Sta o non sta dicendo che non c’entrava niente e che era innocente? Dice ‘Me lo avete fatto accusare voi, e ora mi volete accusare che i conti non tornano’. Per questo impazzisce”.

“La Procura di Caltanissetta venne avvertita in tempo reale delle intenzioni di Scarantino di ritrattare quanto detto sulla strage di via D’Amelio” aggiunge il Pm Stefano Luciani proseguendo la requisitoria.

“Perché il dottor Carmelo Petralia” che all’epoca era alla Procura nissena, deponendo in aula ha detto “che il 26 luglio del 1995 venne notificato un avviso di interrogatorio per quel giorno all’avvocato Lucia Falzone”, che allora era la legale di Vincenzo Scarantino” spiega il Pm.

C’era aria di ritrattazione e se ritrattazione doveva essere andava fatta con i crismi e le forme dovute”, dice il Pm Luciani riportando le parole di Petralia “Quindi Scarantino vuole ritrattare e lo dice. Lo dice al poliziotto Giuseppe Di Gangi che poi lo dice a Mario Bo”, quest’ultimo è uno dei tre poliziotti alla sbarra per concorso in calunnia aggravata.

Nell’estate del 1995 l’allora pentito Vincenzo Scarantino rilasciò una intervista al giornalista Mediaset Angelo Mangano nel corso della quale raccontò – aggiunge il Pm di Caltanissetta – “come ha riferito il cronista in aula, che Scarantino era stato torturato, che gli avevano fatto urinare sangue mentre era detenuto a Pianosa, che lui dell’attentato non sapeva nulla e che aveva accusato innocenti”.

“Cosa disse Scarantino? esplicita il Pm Luciani ‘A me ha fatto dire tutto questo Arnaldo La Barbera e la Polizia’. Sono venuti tutti qui come un unico corpo, e quando Scarantino ha provato a dire la verità si è beccato la condanna con l’aggravante mafiosa. Il riferimento è solo a questo gruppo Falcone e Borsellino”.

“La ritrattazione avvenne nel luglio del 1995 – dice ancora il Pm Stefano Luciani – Dopo avere terminato l’intervista con Angelo Mangano, il giornalista ricevette una telefonata dalla Questura in cui gli venne detto che lo cercava l’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera, all’epoca a capo del pool investigativo che indagava sulle stragi”.

E il Magistrato Luciani ricorda le parole dette in aula dallo stesso giornalista, quando ha deposto al processo: “Capii che Scarantino era intercettato, altrimenti come avrebbero fatto a sapere della mia intervista?”.

L’OPINIONE

Ogni volta che si scrive un articolo sulla Strage di Via d’Amelio come anche di Capaci viene la pelle d’oca, provando al contempo un senso di malinconica civile impotenza. E si deve anche prendere un respiro tanto è lo sconcerto. Tra l’altro qualcosina per certe soggettive esperienze la si comprende e implicitamente si rivive.

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Adduso Sebastiano

(le altre informazioni regionali le trovi anche su Vivicentro – Redazione Sicilia)

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