I Finanzieri del Comando Provinciale di Messina hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 7 soggetti, indagati, tra cui il sindaco di Moio Bruno Pennisi, il suo vicesindaco Clelia Pennisi ed ex assessore comunale ai lavori pubblici di Malvagna Giuseppe Luca Orlando, per i delitti di associazione a delinquere di stampo mafioso e per diversi episodi di reati contro la Pubblica Amministrazione.
Il provvedimento cautelare, emesso dal G.I.P. del Tribunale di Messina, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura messinese, interviene nella fase delle indagini preliminari ed è basato su imputazioni provvisorie, che dovranno comunque trovare riscontro in dibattimento e nei successivi gradi di giudizio, nel rispetto, pertanto, della presunzione di innocenza che l’art. 27 della Costituzione garantisce ai cittadini fino a sentenza definitiva.
Gli arrestati in carcere: D’Amico Antonio, 51 anni; Orlando Luca Giuseppe, 46 anni: Pennisi Bruno, 46 anni; Pennisi Carmelo, 41 anni; Pennisi Clelia, 42 anni; Pennisi Giuseppe, 64 anni. Ai domiciliari: Ferraro Santo Rosario, 53 anni. Gli imprenditori arrestati: ai domiciliari uno di Santa Teresa Riva (ME), Santo Rosario Ferraro; mentre in carcere è stato condotto il titolare di una ditta edile della provincia di Catania, Antonio D’Amico, di Bronte.
LE INDAGINI
Le indagini della Guardia di Finanza hanno riguardato l’infiltrazione mafiosa ed il condizionamento delle amministrazioni comunali dei Comuni di Moio Alcantara e Malvagna, centri della fascia ionica della provincia peloritana, ad opera di Cosa Nostra siciliana.
In particolare, le complesse investigazioni, svolte su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Messina dagli specialisti del Gruppo di Investigazione sulla Criminalità Organizzata delle Fiamme Gialle di Messina, hanno consentito di far luce sull’operatività criminale di una cellula decisionale e operativa mafiosa del tutto autonoma rispetto alle articolazioni di Cosa Nostra catanese che, in passato, gestivano gli affari mafiosi anche nel territorio della valle dell’Alcantara.
Tale struttura criminale, secondo ipotesi accusa e che ha trovato una prima valutazione confermativa da parte del competente GIP del Tribunale peloritano, salvo il successivo vaglio di merito, è risultata in grado di ingerirsi, condizionandole, nelle dinamiche elettorali – politiche dei due comuni, oltre che nella relativa gestione dell’attività amministrativa, attraverso l’infiltrazione di soggetti alla stessa struttura criminale direttamente e/o indirettamente riconducibili.
In altre parole, non il classico gruppo criminale che fa della violenza la cifra del suo modo di agire, bensì qualcosa di diverso, di molto meno visibile ma non per questo meno pericoloso, comunque forte di una ormai riconosciuta forza criminale: una “cellula criminale autonoma che, avvalendosi della legittimazione mafiosa derivante dalla contiguità al famigerato clan dei Cintorino, la cui fama criminale, anche per la efferata violenza di numerosi omicidi commessi alla fine degli anni ’90, promana senza alcuna necessità di ulteriori e specifici atti di violenza e minaccia, è riuscita ad imporsi all’interno del tessuto sociale delle due piccole realtà comunali”.
Le indagini, secondo le valutazioni del Giudice, documentano uno spaccato assolutamente significativo del nuovo modo di “fare mafia”: “un gruppo che, per il suo modus operandi, rappresenta l’evoluzione del modello tradizionale di associazione mafiosa che sfrutta la fama criminale ormai consolidata e che non abbisogna di manifestazioni esteriori di violenza, per intessere relazioni con la politica, le istituzioni, le attività economiche, al fine di imporre il proprio silente condizionamento”.
Uno dei principali indagati, Carmelo Pennisi, nonostante detenuto, dava disposizioni dal carcere al padre e alla sorella per gli “affari di famiglia” e disponeva affinché i propria sodali prendessero contatti con le ditte appaltatrici di lavori assegnati dai due enti locali di Moio e Malvagna, anche garantendo sostegno ai candidati elettorali in occasione del rinnovo dei rispettivi consigli comunali. Concretamente, le disposizioni da lui dettate venivano tradotte in azione operativa dal padre e, soprattutto, dalla sorella, quest’ultima Vicesindaco in carica del Comune di Moio Alcantara, entrambi oggi destinatari della custodia cautelare in carcere.
In tal senso, il gruppo indagato faceva pervenire al Sindaco di Moio inequivoche sollecitazioni, cui peraltro aderiva, affinché interessasse gli amministratori comunali di altre distinti enti locali a bloccare, o sbloccare, indebitamente, procedure esecutive a vantaggio della famiglia: comportamenti ritenuti sintomatici di una “patente subordinazione del sindaco”.
Dello stesso tenore, peraltro, la disponibilità offerta alla cellula indagata dal già Assessore ai lavori pubblici del Comune di Malvagna il quale, nell’interesse della medesima struttura criminale, si adoperava per l’assegnazione di appalti di lavori a ditte vicine, anche mediante il compimento di reati di corruzione e altri reati contro la pubblica amministrazione. La corruzione, secondo ipotesi d’indagine e fermo restando il generale principio di non colpevolezza sino a sentenza passata in giudicato, è risultata il collante dell’operatività generale del contesto oggetto d’indagine; più in particolare:
- il Sindaco di Moio, oggi destinatario della misura della custodia cautelare in carcere, unitamente al responsabile dell’Area Servizi Territoriali e Ambiente del Comune di Moio, oggi in quiescenza, accettavano utilità consistenti in somme di denaro o relative promesse; il medesimo Sindaco, inoltre, favoriva vendite di materiale edile da parte di una società in cui vantava cointeressenze, per compiere specifici atti contrari ai doveri d’ufficio, così turbando la procedura di gara relativa al recupero del tessuto urbano locale, a favore di un imprenditore di Santa Teresa Riva (ME), oggi posto ai domiciliari;
- analogamente, il già Assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Malvagna (sino all’ottobre 2020), oggi associato in carcere, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, induceva il rappresentante di una ditta edile di Barcellona Pozzo di Gotto (ME), aggiudicataria di lavori pubblici a Malvagna, a rifornirsi di materiale edile da una ditta di Randazzo (CT), il tutto con lo scopo di agevolare l’associazione mafiosa oggetto d’indagine. Per tale interessamento, peraltro, il titolare della ditta edile catanese – parimenti destinatario di custodia cautelare in carcere – corrispondeva all’amministratore pubblico una dazione corruttiva.
Le indagini dei Finanzieri di Messina, oltre a basarsi su attività tipiche di polizia giudiziaria, quali intercettazioni, rilevamenti, pedinamenti, perquisizioni e sequestri, si sono altresì avvalse del contributo fornito da un importante collaboratore di giustizia che, a valle del suo arresto nella nota operazione “Isola Bella”*, che ha documentato interessi mafiosi nel settore turistico, chiariva ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina le dinamiche criminali insistenti nella fascia ionica della provincia peloritana.
Per quanto di odierno interesse, le indagini hanno chiarito quali fossero le modalità di ingerenza nella gestione degli appalti pubblici locali in affidamento diretto, ovvero come il tutto avvenisse attraverso l’imposizione di ditte gradite, per il tramite di amministratori locali compiacenti che, a loro volta, quando non direttamente destinatari di provviste corruttive, ottenevano in cambio sostegno elettorale, così come illustravano le modalità di drenare provviste finanziarie attraverso il sistema delle sovrafatturazioni nei lavori pubblici.
NOTA
L’odierna operazione testimonia il costante impegno della Guardia di Finanza volto a contrastare fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata, vieppiù di matrice mafiosa, in apparati della Pubblica Amministrazione. Tale attività risulta ancora più significativa nell’attuale periodo storico, per lo strategico stanziamento di importanti risorse comunitarie a valere sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, un’opportunità imperdibile di sviluppo e investimento.
* L’Operazione “Isola Bella” del 18 giugno 2018 a Taormina fu eseguita dai Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Catania, supportati dai colleghi della Compagnia di Taormina (ME), in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (S.C.I.C.O.) e con il Reparto Operativo Aeronavale di Palermo (R.O.A.N.) e diete esecuzione a un’ordinanza di misure cautelari emessa dal G.I.P. del Tribunale di Catania nei confronti di 31 persone (26 in carcere e 5 agli arresti domiciliari) indagate, in concorso, per associazione a delinquere di tipo mafioso nonché per estorsioni, trasferimento fraudolento di valori, intestazione fittizia, usura, rapina, associazione finalizzata al narcotraffico, detenzione e spaccio di stupefacenti, tutti reati aggravati dalle finalità mafiose. Da anni le escursioni turistiche effettuate da piccoli imprenditori a Taormina e Giardini, con barche da diporto, erano oggetto di pesanti infiltrazioni mafiose. COME SE NE ESCE ?
L’OPINIONE
Una annosa e risaputa (almeno per chi può e ancora vuole vedere) generalizzata “punta di una iceberg”: nel variegato sistema Pubblico-Politico, Comuni, Città metropolitane e Regioni, in cui notoriamente la trasversale: corruzione (spesso ormai formalmente legalizzata), la commistione, la connivenza, la spartizione, il clientelismo, il mercimonio, il familismo, il favoritismo, lo scambio di voto specialmente sociale, imprenditoriale, professionale e anche mafioso, nonché il ricatto, l’assoggettamento, il timore e il bisogno, sono la dissimulata (e neanche tanto) prassi se non addirittura la regola permessa da leggi nazionali e regionali, di tutta evidenza e a detta di molti, partorite da decennali e tutt’oggi, ipocriti, omertosi e compiacenti Governi e Parlamenti (quanto meno elettoralmente), ma pure da Istituzioni e distretti avvitati nella rispettiva autoreferenzialità e garanzia del proprio “feudo”.
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