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Confiscato il patrimonio di oltre 100 milioni ad un imprenditore condannato per mafia

I Finanzieri del Comando Provinciale di Palermo hanno eseguito un decreto di confisca emesso dal Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della locale Procura della Repubblica – DDA – per un valore di stimato di oltre 100 milioni di euro nei confronti di un imprenditore condannato per mafia. Garantiva posti di lavoro, assunzioni a familiari di uomini d’onore e ritorni economici

Il Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della locale Procura della Repubblica – DDA, ha emesso un decreto di confisca del patrimonio di FERDICO Giuseppe, classe ’56, condannato per mafia, divenuto irrevocabile con sentenza della Corte di Cassazione, per un valore stimato di oltre 100 milioni di euro, eseguito dai finanzieri del Comando Provinciale di Palermo.

Il procedimento di prevenzione ha tratto origine dalle risultanze delle indagini eseguite tra il 2006 ed il 2008 dagli specialisti del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo – G.I.C.O, nel cui contesto FERDICO risultava indagato per la sua contiguità a “Cosa Nostra”, in particolare alle famiglie mafiose di Acquasanta e San Lorenzo, a cui si sono aggiunte successivamente dichiarazioni convergenti di numerosi collaboratori di giustizia, nonché le risultanze della corrispondenza sequestrata in occasione degli arresti dei boss Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo.

Assolto nel primo grado di giudizio, il FERDICO veniva condannato in appello alla pena di anni nove di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa (a seguito del ricorso in Cassazione, la Suprema Corte ha rinviato gli atti alla Corte d’Appello, che non si è ancora pronunciata).

Sulla base delle evidenze acquisite veniva quindi instaurato uno specifico procedimento di prevenzione nell’ambito del quale è stata ricostruita la “storia economico – finanziaria” dell’importante gruppo imprenditoriale nella disponibilità del FERDICO, leader in provincia di Palermo nel settore della grande distribuzione e dei prodotti per la casa e l’igiene.

Secondo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, il proposto:

–              avrebbe utilizzato, nella gestione della sua attività di commercializzazione di detersivi, anche risorse finanziarie di Claudio Lo Piccolo, figlio del boss Salvatore, e di altri esponenti del mandamento di San Lorenzo;

–              si sarebbe interposto nella titolarità di immobili ad uso commerciale, in realtà riferibili alla famiglia mafiosa di Carini;

–              avrebbe immesso nelle proprie società 400 milioni di lire riconducibili alla famiglia dell’Acquasanta;

–              sarebbe stato, fin dagli albori della sua iniziativa imprenditoriale, “a disposizione” di “Cosa Nostra”, garantendo ritorni economici e assunzioni a familiari di uomini d’onore;

–              grazie ai suoi rapporti con le articolazioni territoriali della mafia, avrebbe potuto espandersi economicamente nei territori da esse controllate.

Inoltre, all’atto dell’arresto di Provenzano e dei Lo Piccolo furono trovati dei “pizzini” il cui contenuto avrebbe avvalorato la contiguità del FERDICO con la mafia, a cui garantiva posti di lavoro e corrispondeva periodicamente ingenti somme di denaro a titolo di ripartizione degli utili.

Gli approfondimenti economico – patrimoniali hanno fatto emergere, a partire dalla seconda metà degli anni novanta, l’immissione di capitali nelle aziende da parte del proposto e dei suoi familiari per valori sproporzionati rispetto alle loro capacità reddituali dichiarate e uno sviluppo imprenditoriale significativo proprio nelle aree territoriali di riferimento delle famiglie mafiose ritenute “vicine”.

Nel 2012 il Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, facendo proprie le ricostruzioni effettuate dai finanzieri, ritenne ricorrenti gli elementi per considerare l’imprenditore soggetto socialmente pericoloso in quanto appartenente, anche se non partecipe, al sodalizio mafioso in ragione delle molteplici e radicate relazioni con esponenti di vertice dell’organizzazione e, per questo, dispose il sequestro dell’intero patrimonio riconducibile al proposto.

All’esito dell’iter processuale, è ora intervenuta la definitività della confisca dei seguenti beni:

–              quote societarie di 6 imprese operanti nel settore della grande distribuzione di detersivi, proprietarie di 4 complessi immobiliari a destinazione commerciale (ipermercati) e industriale (centro distribuzione merci), con sedi a Palermo e Carini;

–              4 conti correnti;

–              13 terreni;

–              16 appartamenti ubicati nella città di Palermo;

–              2 ville di lusso in località Tommaso Natale e Sferracavallo,

per un valore complessivo attualmente stimato in oltre 100 milioni di euro.

NOTA

Continua l’azione che la Guardia di Finanza palermitana svolge, nell’ambito delle indagini delegate dalla Procura della Repubblica di Palermo, a contrasto dei patrimoni di origine illecita con la duplice finalità di disarticolare in maniera radicale le organizzazioni criminali mediante l’aggressione delle ricchezze illecitamente accumulate e di liberare l’economia legale da indebite infiltrazioni della criminalità consentendo agli imprenditori onesti di operare in regime di leale concorrenza.

L’OPINIONE

Le mafie, oggi più che mai, godono, di tutta evidenza, di immensi ricavi dal traffico e spaccio delle droghe, a detta di molti, grazie pure a certa parallela e trasversale annosa commistione politico-istituzionale-burocratica-professionale, anche globale. In una recente intervista, Letizia Battaglia – una nota fotografa e anche politica, da poco scomparsa, che raccontò Palermo negli anni più bui della mafia (cofondatrice del Centro di Documentazione “Giuseppe Impastato”; si è occupata anche di politica a cavallo tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90; è stata consigliera comunale con i Verdi, assessore comunale a Palermo con la giunta Orlando; terminato l’incarico ha lavorato come consulente esterna per il carcere; nel 1991 è stata eletta deputata all’Assemblea regionale siciliana con La Rete nell’XI Legislatura; in quella legislatura fu la vice presidente della Commissione Cultura) – si domandava come fosse possibile che dopo tutti questi decenni non si è riusciti a sconfiggere la mafia (adesso le mafie, native e d’importazione), che infatti in modo lapalissiano si rigenera sempre.

Adduso Sebastiano

(le altre informazioni regionali le trovi anche su Vivicentro – Redazione Sicilia)

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